martedì 28 febbraio 2012

Sacchetti, le nuove regole: passo avanti o altra confusione?


Nuovi spessori, nuova distinzione a seconda del manico e ulteriore requisito per i sacchetti non compostabili per essere commercializzati: dovranno contenere il 10 o il 30% di plastica riciclata a seconda dell’uso finale. Commentiamo il testo assieme a Maurizio Paratore, vicepresidente di Apibags, Gruppo nazionale produttori borse in plastica riutilizzabili e riciclabili.

Il Senato ha approvato le nuove norme per la commercializzazione dei sacchetti, e ci sono delle novità: i sacchetti non compostabili (ai sensi della Uni En 13432) vengono divisi in due categorie, a maniglia esterna e a maniglia interna (cioè a fagiolo, usati per merci di piccole dimensioni o peso leggero). I primi dovranno avere uno spessore minimo di 200 micron se destinati al trasporto di alimenti e di 100 micron per tutto il resto. Gli altri, quelli a fagiolo, potranno essere prodotti con uno spessore minimo inferiore: 100 micron per uso alimentare e 60 micron per le altre merci. Per i sacchetti non compostabili, c’è ora un ulteriore requisito da rispettare oltre allo spessore (NB: “oltre” e non “oppure”): dovranno essere prodotti utilizzando almeno il 30% di plastica riciclata se destinati a contenere alimenti e il 10% se dovranno contenere altri prodotti. Cerchiamo di capire insieme cosa succederà ascoltando diversi punti di vista. Cominciamo da Maurizio Paratore, vicepresidente di Apibags, Gruppo nazionale produttori borse in plastica riutilizzabili e riciclabili.

Cominciamo da un commento a caldo sulle nuove norme. Sono buone notizie o no per i piccoli produttori?
Siamo moderatamente soddisfatti. L’inserimento del nuovo limite dei 60 micron per i sacchettini da boutique è una finestra fondamentale per noi, perché permette alle aziende più piccole di poter ancora lavorare almeno in questo settore specifico di mercato. Come ho già detto più volte, 100 micron è una soglia fuori portata per i piccoli produttori: i costi sono troppo alti. Dal mio punto di vista poi, non c’era alcun bisogno di imporre un limite così alto: è tutta plastica sprecata. Sessanta micron forse riequilibreranno un po’ il mercato.

Parliamo invece del comma 3, che prevede un obbligo ulteriore per i sacchi in plastica non compostabile: una percentuale obbligatoria di plastica riciclata nell’impasto. Ci aveva già accennato al fatto che reperire il materiale riciclato per le piccole aziende non è sempre facile...

Purtroppo è vero. Basta pensare che si usa plastica vergine anche per produrre i sacchi della spazzatura… Ma non solo: la plastica seconda vita va benissimo per realizzare manufatti più spessi, magari stampati e colorati, perché la colorazione della plastica riciclata non influisce sulla qualità del prodotto finale. Se parliamo di una busta da boutique il discorso cambia… il materiale che si recupera dalla filiera del riciclo della plastica è inservibile per questo scopo.

Ora la partita passa alla Camera: cosa chiedete ai deputati?
Partiamo dal presupposto che se gli spessori limite si abbassassero ancora un po’ noi certo non protesteremmo. Quello che vorremmo come Apibags è una marcia indietro su questo 10%. Ma soprattutto che la Camera faccia chiarezza su un problema di cui si è parlato solo ai tempi dell’entrata in vigore del bando e che poi sembra scomparso dalle agende: le scorte. Non tanto quelle dei produttori, ma quelle dei commercianti. Si potranno ancora vendere o distribuire gratuitamente dopo luglio? Si potrebbe pensare che la scadenza luglio 2012 sia già una concessione ma non è così: cinque mesi per esaurire le scorte sono un tempo ragionevole per i grandi distributori, ma non per i piccoli esercizi e le boutique, non hanno certo uno smercio paragonabile. E infatti è proprio questo che ci chiedono: e noi di queste buste ora cosa ne facciamo?

Sacchetti, il Senato approva il disegno di legge: ecco cosa cambia






Con 225 voti favorevoli, 32 contrari e due astensioni il Senato ha licenziato per la Camera il disegno di legge 3111 conversione in legge del decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale. Le nuove regole per i sacchetti.

Disposizioni in materia di commercializzazione di sacchi per asporto merci nel rispetto dell'ambiente

1. Il termine previsto dall'articolo 1, comma 1130, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come modificato dall'articolo 23, comma 21-novies, del decreto-legge 1º luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ai fini del divieto di commercializzazione di sacchi per l'asporto merci, è prorogato fino all'adozione del decreto di cui al comma 2 limitatamente alla commercializzazione dei sacchi monouso per l'asporto merci realizzati con polimeri conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002, secondo certificazioni rilasciate da organismi accreditati, di quelli riutilizzabili realizzati con altri polimeri che abbiano maniglia esterna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore a 200 micron se destinati all'uso alimentare e 100 micron se destinati ad altri usi, di quelli riutilizzabili realizzati con altri polimeri che abbiano maniglia interna alla dimensione utile del sacco e spessore superiore ai 100 micron se destinati all'uso alimentare e 60 micron se destinati agli altri usi.

2. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, con decreto di natura non regolamentare adottato di concerto dai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, sentite le competenti Commissioni parlamentari, notificato secondo il diritto dell'Unione europea, da adottare entro il 31 luglio 2012, nel rispetto della gerarchia delle azioni da adottare per il trattamento dei rifiuti, prevista dall'articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, possono essere individuate le eventuali ulteriori caratteristiche tecniche ai fini della loro commercializzazione nonché, in ogni caso, le modalità di informazione ai consumatori, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

3. Per favorire il riutilizzo del materiale plastico proveniente dalle raccolte differenziate, i sacchi realizzati con polimeri non conformi alla norma armonizzata UNI EN 13432:2002 devono contenere una percentuale di almeno il 10 per cento di plastica riciclata e del 30 per cento per quelli ad uso alimentare. La percentuale di cui al periodo precedente può essere annualmente elevata con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti il Consorzio nazionale per la raccolta, il riciclaggio e il recupero dei rifiuti di imballaggi in plastica - COREPLA e le associazioni dei produttori.

4. A decorrere dal 31 luglio 2012, la commercializzazione dei sacchi non conformi a quanto prescritto dal presente articolo è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 2.500 euro a 25.000 euro, aumentata fino al quadruplo del massimo se la violazione del divieto riguarda quantità ingenti di sacchi per l'asporto oppure un valore della merce superiore al 20 per cento del fatturato del trasgressore. Le sanzioni sono applicate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689. Fermo restando quanto previsto in ordine ai poteri di accertamento degli ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria dall'articolo 13 della legge n. 689 del 1981, all'accertamento delle violazioni provvedono, d'ufficio o su denunzia, gli organi di polizia amministrativa. Il rapporto previsto dall'articolo 17 della legge n. 689 del 1981 è presentato alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia nella quale è stata accertata la violazione».

Mercoledì 22 febbraio

Si è conclusa la 678ª seduta pubblica (pomeridiana) in Senato, che aveva per oggetto la conversione in legge del DL 25 gennaio 2012, n. 2 - Misure straordinarie e urgenti in materia ambientale - che all'articolo 2 include il provvedimento sugli shopper. (Scarica il testo).

A questo proposito, il comunicato diffuso dal Senato al termine della seduta pomeridiana riporta: "Il Ministro Clini si è soffermato sulle norme introdotte a proposito dei sacchetti di plastica, misure equilibrate che consentono di sostenere la chimica verde e nel contempo di salvaguardare le imprese dedite alla precedente produzione".

Le dichiarazioni di voto finali sono state rinviate a giovedì 23 febbraio.

fonte: ecodellecittà

mercoledì 22 febbraio 2012

Valgono troppo per buttarli via

Corepla ha presentato una nuova campagna di informazione dal titolo eloquente: “La plastica. Troppo preziosa per diventare un rifiuto”.

Un messaggio che in tempi di crisi fa leva non più e non solo sulla sensibilità ambientale dei cittadini, ma anche sul portafoglio. L'obiettivo è motivare le persone a fare più raccolta differenziata e a farla meglio, in funzione di un successivo riciclo, che deve essere visto come opportunità ambientale ed economica per l'intera collettività.

“Corepla vuole fugare i dubbi residui e ricordare come l’imballaggio in plastica non sia mai un problema se correttamente gestito - commenta il Presidente del Consorzio, Giuseppe Rossi -. Può trasformarsi, invece, in una nuova risorsa, in primo luogo grazie al suo riciclo meccanico, ma anche restituendo sotto forma di combustibile alternativo tutto il potere energetico che per natura racchiude in sé, nei casi in cui a valle della raccolta si presenti con caratteristiche qualitative ancora inadeguate per essere avviato a riciclo”.

Anche in TV. La campagna pubblicitaria, curata dall'Agenzia Lowe Pirella Fronzoni, partirà con un primo flight nel mese di febbraio, poi ripetuto in estate e in autunno. Cinque i soggetti (nelle foto in questa pagina) per gli annunci stampa sui principali quotidiani e periodici nazionali, altrettanti per le affissioni di pregio presso grandi stazioni, aeroporti e metro. E, per la prima volta, Corepla sbarcherà anche in televisione, con tre mini-spot della durata di dieci secondi programmati sulle principali reti nazionali digitali e satellitari.
“Si tratta – aggiunge Rossi – di un impegno notevole, ma che pensiamo sia apprezzato non solo per l’immagine semplice, immediata, colorata e moderna (come la plastica, d’altronde), ma anche per la sua finalità chiaramente educativa ed informativa". Un contributo alla trasparenza e alla conoscenza che - spiega il Presidente di Corepla - "si spera convinca chi ancora non si impegna nella raccolta differenziata e fidelizzi con una nuova carica motivazionale i 57 milioni di Italiani che già hanno a disposizione nel loro Comune un servizio di raccolta differenziata degli imballaggi in plastica”.

Primi numeri sul riciclo 2011. In occasione della presentazione della nuova campagna pubblicitaria, sono stati diffusi i precosnuntivi 2011, che saranno confermati a maggio dopo l'Assemblea annuale del Consorzio.

Nell'anno appena trascorso sono state conferite agli impianti di selezione consortili 660.000 tonnellate di imballaggi in plastica provenienti da raccolta differenziata, il 7% in più rispetto al 2010, anche se - segnala Corepla - permangono forti squilibri regionali. Il riciclo meccanico è cresciuto più della raccolta, mettendo a segno l'anno scorso un +11%, per un totale di 390.000 tonnellate; il rapporto tra raccolta e riciclo della stessa è così salito dal 57% al 60%.
Aggiungendo le circa 7.000 tonnellate di rifiuti di imballaggi in plastica non conferiti al servizio pubblico, provenienti da attività economiche gestite dal Consorzio a titolo puramente sussidiario rispetto al mercato, si arriva a un totale di riciclo di 400.000 tonnellate, per la sola parte afferente a Corepla.

Non solo Corepla. Ma questo numero non esaurisce il potenziale italiano, poiché occorre aggiungere il riciclo di imballaggi in plastica “secondari e terziari” da attività economiche, gestito in modo automo dalle imprese industriali del settore. Sommando anche questi volumi, si ottiene un totale (stimato) di 760.000 tonnellate, pari ad oltre il 35% degli imballaggi in plastica immessi al consumo nello stesso anno.

Cosa succede alle plastiche che non possono essere rigenerate per via meccanica? Circa 225.000 tonnellate di imballaggi avviati a selezione, in ragione del loro basso livello qualitativo, vengono trasformati in combustibili alternativi, destinati a sostituire combustibili fossili non rinnovabili nei cementifici, fungono da “agente riducente” nelle acciaierie o servono a produrre direttamente energia elettrica e termica nei termovalorizzatori. Altre 485.000 tonnellate di imballaggi in plastica presenti nei rifiuti indifferenziati fanno la stessa fine, concorrendo al soddisfare il fabbisogno energetico nazionale. Sommando questi ultimi due numeri si ottiene la quantità di imballaggi in plastica avviata a recupero energetico: poco meno di 710.000 tonnellate, pari a circa il 35% dell’immesso al consumo. Si tratta di un volume leggermente inferiore a quello degli anni scorsi, anche in ragione della migliorata capacità di selezione e riciclo.

Meno di un terzo va in discarica. Sommando, infine, riciclo meccanico e recupero energetico, il quantitativo di imballaggi in plastica recuperati e trasformati in nuove risorse si attesta intorno a 1.470.000 tonnellate, ossia circa il 70% del totale degli imballaggi in plastica immessi sul mercato nazionale nel 2011. Il resto, per fortuna poco, finisce invece in discarica o prende altre strade.

fonte: plasticaverde.eu

mercoledì 1 febbraio 2012

Bioshopper: tanto rumore per nulla


Siamo proprio sicuri che il Decreto Legge 2/2012 metta fine al commercio dei sacchetti additivati per essere biodegradabili? Una lettura attenta del testo sembrerebbe suggerire di no: vengono esclusi dal divieto, fino all'emanazione di un futuro decreto interministeriale, i sacchetti compostabili conformi alla EN 13432 (per i quali la biodegradabilità era comunque certificata) e quelli rituilizzabili (con spessore superiore a 100 e 200 micron), mentre per tutti gli altri resta valido quanto enunciato dalla legge 296/2006, che parla genericamente di biodegradabilità.

Il tanto atteso decreto legge sui bioshopper, quello che - per intenderci - avrebbe dovuto metter fine alla diatriba tra bioplastiche e plastiche additivate, alla resa dei fatti non sembra apportare elementi di novità. E’ vero che nel testo viene citata la norma EN 13432 sulla biodegradabilità e compostabilità degli imballaggi, alla quale viene assegnato uno status di favore, ma non viene affatto chiarito se questa norma debba considerarsi o meno il riferimento per valutare se un sacchetto sia in ultima istanza biodegradabile - e quindi escluso dal divieto di commercializzazione - o non biodegradabile, e quindi non adatto ad essere messo in commercio.

Una proroga inutile. In effetti, il primo comma dell’articolo 2 del DL 2 del 25 gennaio 2012 si limita a prorogare, fino all’emanazione di un prossimo decreto interministeriale, il termine per l’entrata in vigore del divieto alla commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili, limitatamente a quelli conformi alla EN 13432 e ai sacchetti di spessore superiore a 100 o 200 micron (a seconda siano destinati all’asporto di prodotti alimentari o meno). Per tutti gli altri la proroga non vale e, di conseguenza, resterebbe in vigore il divieto introdotto con la legge 296 del 26 dicembre 2006 (e successive proroghe), che riguarda la "commercializzazione di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario". Biodegradabilità non meglio specificata - si rimanda anche in questo caso al decreto da emanarsi entro il 31 luglio 2012 - e che quindi potrà continuare ad essere rivendicata anche dalle plastiche additivate con prodotti che le rendono biodegradabili (ma non compostabili). Senza, per altro, incorrere in sanzioni, visto che queste entreranno comunque in vigore il 31 luglio 2012.
Il decreto, in sostanza, ribadisce in modo pleonastico che se il sacchetto è biodegradabile e compostabile secondo la norma UNI EN 13432 o di grande spessore (ben oltre il necessario per essere considerato tecnicamente riutilizzabile) può essere messo in commercio senza limitazioni. In caso contrario vale la quanto riportato dalla legge 296: se lo shopper può essere considerato biodegradabile (senza indicazione dei tempi di effettiva degradazione), come è il caso dei sacchetti additivati, può comunque essere messo in commercio. Resterebbero esclusi i soli sacchetti in polietilene tal quale - difficile in questo caso appellarsi alla biodegradabilità -, ma i commercianti sbadati non rischiano comunque nulla fino al 31 luglio.

Tutti contenti? Resta da chiedersi perché l’articolo 2 sia stato prima tolto dal Milleproroghe e poi reinserito, in tutta fretta, all’interno di un decreto concernente misure urgenti per l’ambiente, visto che - nella pratica - non avrà alcun effetto. Una prima ragione è mediatica: in questa fumosa formulazione, accontenta tutti: i produttori di bioplastiche compostabili e una frangia di ambientalisti attribuiscono all’apparizione della norma UNI EN 13432 una sorta di valore messianico, estendendo l’esclusione dei sacchetti a norma, effettivamente prevista dal decreto, all’assoggettamento di tutti i sacchetti biodegradabili a tale norma (cosa invece non indicata in nessuna parte del testo). D’altra parte, i fautori dei sacchetti additivati, leggono nell’annuncio di un futuro decreto che possa estendere il campo di esclusione del bando, oltre che nella mancata definizione della EN 13432 come unico e incontrovertibile riferimento per la biodegradabilità, una conferma della possibilità di continuare a vendere i propri prodotti, e la speranza di poter spingere, nelle commissioni parlamentari, verso un’interpretazione più estesa del concetto di biodegradabilità. Nei prossimi mesi sarà questo il vero terreno di scontro tra i contrapposti interessi.

Compiacere Bruxelles? Una seconda ragion d’essere dell’articolo 2 potrebbe essere quella di disinnescare un possibile intervento di Bruxelles. Formalmente, infatti, il bando agli shopper non biodegradabili avrebbe dovuto essere sottoposto alla Commissione Europea prima della sua entrata in vigore, in quanto considerato alla stregua di una norma tecnica e come tale soggetto alla comunicazione preventiva in base alla direttiva imballaggi. L’annuncio di un prossimo decreto, da redarsi in piena conformità con le prescrizioni comunitarie potrebbe placare gli euroburocrati e azzerare o congelare eventuali procedimenti in corso.

In conclusione, i giochi sembrano ancora aperti, anche se non vanno alimentate false speranze, soprattutto nei confronti dei produttori di sacchetti che non sono in grado di riconvertirsi ai bioshopper, o perché non dispongono di impianti adeguati, o perché non hanno accesso alle forniture di biopolimeri. Difficilmente bioplastiche e plastiche additivate biodegradabili potranno convivere a lungo, a causa del significativo gap prestazionale ed economico (a favore dele seconde, che però non possono vantare un pedigree ambientale altrettanto verde), che finirebbe per mettere fuori mercato i sacchetti in bioplastica. Gli ingenti investimenti annunciati da Novamont, ENI e dal gruppo M&G in questo settore, insieme con quelli in arrivo dall’estero (Cereplast, DSM per citare i principali), avranno senz’altro un peso nelle decisioni del legislatore (di contro, è vero che ENI produce anche polietilene, ma non c’è tecnologia italiana, n'è impianti produttivi nazionali nel segmento degli additivi oxo).

Rischio di monopolio? Non ha invece senso evocare lo spettro del monopolio per mettere in cattiva luce le bioplastiche: è indubbio (e lecito) che Novamont spinga verso l’adozione di bioshopper compostabili, ma il produttore novarese, pur un player importante del mercato, non è l’unico né il principale fornitore mondiale di questa classe di materiali. Piuttosto c’è da chiedersi se esistano sufficienti capacità produttive di biopolimeri per sostenere un passaggio ai sacchetti conformi alla UNI EN 13432. Certo, la situazione è destinata a migliorare nel tempo, con l’avvio di nuove capacità produttive e il dirottamento verso il mercato italiano di produzioni esistenti, ma l’offerta non è sufficientemente elastica nel breve periodo (costruire nuovi impianti richiede molti mesi).

Perché non i riciclati? Manca invece una misura che poteva essere introdotta a costo zero, con beneficio per i produttori di sacchetti e per l’ambiente: stiamo parlando dell'esclusione dal divieto dei sacchetti in plastica riciclata, magari imponendo una logica di closed loop, ovvero prevedendo l'impiego di plastica rigenerata dagli stessi sacchetti, in forma esclusiva o prevalente. Ne avrebbe beneficiato anche il settore del riciclo di materie plastiche, che con la messa al bando degli shopper in polietilene vede ridursi la disponibilità di materia prima per i propri impianti.

Meno o più plastica? Se poi la ratio del divieto è ridurre la quantità di plastica immessa al consumo, sarebbe stato meglio condurre preventivamente uno studio sugli effetti di tale provvedimento sul mercato finale. Perché se è vero che gli italiani hanno riscoperto il valore della sporta (sacco riutilizzabile) è anche vero che i vecchi shopper in polietilene, robusti pur non essendo spessi, erano utilizzati per svariati usi prima di finire la loro vita come sacchetti della spazzatura, dove conferire l’indifferenziato; sacchetti che oggi vengono comunque prodotti, acquistati e utilizzati (qualcuno dice in quantità notevolmente superiori al passato). C'è chi fa notare che i sacchetti in bioplastica, per garantire prestazioni accettabili, devono essere più spessi di quelli tradizionali, richiedendo quindi un maggior impiego di energia e materie prime (anche fossili, visto che circa il 50 per cento del materiale utilizzato oggi nei bioshopper non è biobased). Per non parlare dello spessore minimo, che avrà come risultato un aumento della quantità di plastica utilizzata, ben oltre quanto richiesto da un punto di vista tecnico. E poi, perché differenziare i sacchi alimentari da quelli destinati ad altri usi?